L’idea nacque questo inverno su iniziativa di Lionello. Volendo ripercorrere le orme del padre ciclista indomito dei tempi andati, propose di affrontare lo Stelvio, Cima Coppi per eccellenza. Poi il Presidente, come suo solito, ci mise il carico da dodici proponendo di affrontare anche le altre due micidiali salite valtellinesi. L’annuncio venne dato tra lo sconcerto generale la sera della cena sociale di dicembre. Ancora ricordo bene il silenzio assordante che calò sulla sala. L’inverno passò tra progetti e promesse. Poi molti alla fine si tirarono indietro per difficoltà familiari, economiche, organizzative o semplice strizza.
Fu così che non tantissimi partirono mercoledì mattina alla volta di Bormio in Alta Valtellina per affrontare le tre cime storiche del ciclismo: Mortirolo, Gavia e Stelvio. Ivano, Tommaso e Bruno a bordo di una Focus carica all’inverosimile; Sandro, Piero e Betta sulla Toyota presidenziale, poi Marco e Alessandra, Massimiliano con la madre che come al solito è partito a notte fonda, mentre Lionello ci aspettava già in loco. Al primo stop autogrillesco Sandro ha la disgraziata idea di raggiungere Bormio tramite Brescia, Iseo ed Edolo, affrontando quindi il Mortirolo in discesa: mai decisione fu più inopportuna. Abbiamo consumato quintali di pasticche dei freni e iniziavamo a sentire una strana umidità al fondoschiena... Anche Bruno, che dichiarava di aver già affrontato il Mortirolo dal versante opposto in compagnia di Franzetti, dopo aver visto quello originale iniziava ad aver paura di non riuscire a compiere l’impresa. Ci accoglie una fresca Bormio (20 gradi) e un hotel niente male: il Funivia, vero paradiso per chi va in bici o sugli sci.
La cena viene consumata con il timore di averla fatta fuori dal vasetto. Anche se fossimo riusciti a scollinare il Mortirolo poi saremmo stati comunque obbligati ad affrontare il Gavia in quanto unica strada per tornare indietro. Sarà una lotta più di testa che di gambe. Mettiamoci anche il fatto che la notte non si è riusciti a riposare per la tensione, qualche birra di troppo, gli schiamazzi del Pub di fronte, l’allarme antincendio e con Tommaso e Bruno che si svegliavano a vicenda ogni 5 minuti accusandosi reciprocamente di russare.
La mattina ci accoglie con un cielo limpido e temperatura ottimale. L’abbondante colazione dell’hotel comprende anche tramezzini e banane da portarsi in bici. Fuori dall'albergo incontriamo il cuoco-fungaiolo che ci preparerà il risotto previsto per la cena
| La partenza |
| L'arrivo |
Si parte alle 8:30. A scendere in direzione di Mazzo raccomandiamo a Bruno, nel caso in cui decidesse di tornare indietro, di non prendere assolutamente la statale con le gallerie in quanto vietata ai ciclisti e pericolossissima. Purtroppo il nostro consiglio cadrà nel vuoto.
A Mazzo di Valtellina inizia il mazzo. Si accoda a noi un ciclista varesino di nome Marco, di stanza anche lui a Bormio, intenzionato in un primo momento a farsi solo il Mortirolo ma che poi deciderà di accompagnarci nell’intera impresa.
La strada, dall’ampiezza molto ridotta, ha una pendenza quasi accettabile nei primi 3 chilometri per poi diventare una specie di rampa di garage continua fino al chilometro 9. I trentatrè tornanti che ci dividono dalla vetta sono intervallati da drittoni impossibili senza la possibilità di respiro. Si sale ad una velocità standard di 6 all’ora con punte minime di 5,2 (mai pensato di andar cisì piano in bici senza ribaltarmi) e col 34/26 o 28 per chi ce l’ha (tranne Tommaso che col 39/25 smadonna in piedi sui pedali dal primo tornante).
Il grande Bruno è già sparito all’orizzonte, Lionello pure pare far fatica ma è scortato e incitato da Piero e Sandro. Massimiliano se la cava bene ma viene interrotto spesso dalle telefonate di un collega che chiede ragguagli sulla salita. Marco e Ivano sembrano la pessima copia di Basso e Simoni. Numerosi ciclisti incontriamo lungo la strada, tra cui un tedescone già suonato a metà salita seduto sul ciglio della strada che poco dopo, ripartendo, rovinerà ingloriosamente a terra. A metà percorso il monumento di Pantani impone una sosta obbligata (qualcuno era già così cotto da non notarlo tirando dritto).
Gli ultimi 3 chilometri sono più umani, ma ormai uno è così assuefatto alle pendenze che un 10% pare quasi pianura e si possono sfiorare anche i 9 all’ora!! Arriviamo in cima scaglionati puntando al risparmio e concedendoci qualche sosta in più. Il cronometro segna tempi compresi tra l’ora e mezza e le due ore per i 13 chilometri (appena poco sopra il record della salita di Gotti nel ’97 pari a 43:15) le foto e la soddisfazione sono parecchie.
A tre quarti di salita arriva lo spauracchio: la galleria. Già ce ne avevano parlato ma non credevamo fosse così. In pratica il tratto più duro della salita è in una galleria completamente buia di 500 metri con tanto di curva in mezzo. Si è costretti cioè a pedalare nel buio completo, senza vedere la luce di uscita, con le macchine che sfrecciandoti accanto o di fronte forse nemmeno ti vedono, senza avere la percezione di pedalare accanto al muro o in mezzo alla strada. Ivano cerca di farsi luce col cellulare, Piero (orfano di un nervo vestibolare) perde l’orientamento, si ritrova di colpo nella corsia opposta e si fa prendere dalla sudarella. Sandro aspetta un quarto d’ora che passi una macchina per essere scortato dai fari. Per accorciare questa agonia ci mettiamo tutti a correre arrivando spompati all’uscita dove ci aspetta un altro tratto al 12% che ci cuoce definitivamente.
Gli ultimi chilometri sono un’agonia per tutti: Marco e Ivano si prendono a capocciate sbandando a destra e sinistra, Massimiliano va di passo lamentandosi come un muflone in calore, Tommaso col 25 ha le gambe cementate, il Presidente si gestisce, Piero scorta Lionello ormai completamente phase-out. La fatica è però ripagata dai panorami lunari che si apprezzano da queste altezze, mai visto paesaggi pù brulli.
La vista del rifugio Bonnetta è una liberazione. Ci arriviamo dopo 21 Km di salita e quasi due ore di scalata nel caldo. Siamo a metri 2658 e nuvoloni neri appaiono all’improvviso facendoci pensare al peggio. Mano mano arrivano tutti.
E’ fatta, l’impresa è compiuta, ora solo discesa. Lionello in cima dichiara che non pensava che ce l’avrebbe fatta e invece è stato fortissimo. Ci arriva un messaggio confortante da Bruno che dichiara, con tanto di foto, di essere arrivato fino al monumento di Pantani sul Mortirolo a soli 3 chilometri dalla vetta per poi essere ridisceso. Complimenti anche a lui. Dopo qualche mezz’ora arriva anche il tedescone suonato del Mortirolo che, con la sua andatura sbilenca pure quando cammina, è contento come un pupo.
La discesa suicida del Gavia viene affrontata coscenziosamente ai 35 all’ora nella prima parte, a velocità più che raddoppiata dopo S. Caterina, dove Piero da sfoggio delle sue capacità savoldellesche mentre Ivano è praticamente ancora in cima al passo.
| Stanco ?? |
Salutiamo Marco, il nostro ospite discreto e gentile, e raggiungiamo l’Hotel Funivia poco prima delle 17. I computerini segnano 123 Km, circa 3400 metri di dislivello e 5500 calorie consumate prontamente reintegrate nell’ottima cena di risotto ai funghi con tanto di doppio antipasto e doppio dolce.
Che dire... effettivamente in mattinata abbiamo avuto paura ma poi ci siamo accorti di avere tutti una buona determinazione e di essere più forti di quanto ci aspettavamo. I panorami goduti sul Gavia e le scritte sul Mortirolo rimarrano per sempre nei nostri ricordi mentre la fatica svanirà in una nottata. Il giorno successivo è in programma una rilassante gita a S. Moritz col trenino rosso quindi ci sarà la possibilità di riposarsi e rilassarsi. Ci concediamo una birretta e un gelato frugale la sera mentre Max in ascensore manifesta la sua superiorità ai danni di Bruno, Ivano e Tommaso. Credo che solo un Luciano in ottima forma avrebbe potuto contrastarlo in questa vacanza... Tommaso invece, nella notte, avrà uno spiacevole incontro con un rumoroso
mammifero locale!
Il verso del raro Muflone Valtellinese
le foto verranno caricate gradualmente ndr






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